Il nostro segretario generale Dino Marcozzi è intervenuto sugli sviluppi del PNRR (Piano nazionale di ripresa e resilienza).

Un Paese che ha piani strategici e dossier aggiornati non dovrebbe avere difficoltà ad indirizzare fondi erogati per fare fronte ad una emergenza quale quella economico-sanitaria prodotta dalla pandemia. Apre i dossier e rapidamente elabora un piano su come alimentarli. Se invece siamo in Italia, i fondi disponibili che, ricordiamo, dovranno essere ripagati in grande misura dai nostri nipoti nel 2056, diventano oggetto solo di un classico assalto alla diligenza” quale quello cui stiamo assistendo.
E così, il Piano presentato ieri sera in CdM, al di là delle fibrillazioni “politiche” su cui non entriamo, ma che comunque si sono ribaltate sul piano stesso, può tranquillamente essere assimilato ad una specie di “milleproroghe”, assolutamente incapace di mostrare una visione di cosa vogliamo essere nei prossimi 30 anni. Ci sono certo investimenti pubblici, ma che non sembrano in grado di stimolare sufficientemente una reale ripresa da parte di capitali privati, che continueranno a restare tranquilli nei conti correnti degli italiani. È difficile trovare un nesso tra la scelta degli interventi e la necessità che questi si traducano in moltiplicatori per la crescita.          
Il PNRR deve essere una strategia che moltiplichi le risorse investite, non un insieme disordinato di progetti, sì necessari, ma che senza una visione organica contrarranno un forte debito incapace di innescare lo sviluppo necessario a superare non tanto la crisi del Covid19 di oggi ma anche sfide future come quella della decarbonizzazione dei settori produttivi tradizionali e quella climatica. E, naturalmente, mancano strumenti e metriche in grado di misurare lo svolgimento dei compiti, quasi rispondendo ad una logica del tipo “dacci i soldi, poi saprò io cosa farne”. Questo non è esattamente quello che ci chiede l’Europa per erogarli. Non c’è traccia di criteri di esclusione all’accesso ai fondi in grado di garantire l’effettivo l’indirizzo della spesa sugli obiettivi enunciati né di processi di revisione dei programmi già in corso per rendere la spesa più efficace negli obiettivi, né criteri di condizionalità e di monitoraggio della spesa che assicurino che gli obiettivi siano coerenti con la strategia del Piano. 
Infine, e qui veniamo ai temi di interesse della nostra Associazione, non c’è un respiro autenticamente sostenibile, che deve passare per Rinnovabili, Digitalizzazione, Economia Circolare, Elettrificazione dei consumi. Per le rinnovabili l’immagine che emerge sembra comprendere solo centrali eoliche off-shore. Quanto alla digitalizzazione, si parla confusamente di 5G e pubblica amministrazione senza spiegare come tanti soldi possano stimolare i capitali privati. L’economia circolare viene confusa con la gestione dei rifiuti e, infine, sull’elettrificazione si tace. In particolare, non una parola sull’industria Automotive che pure occupa una parte considerevole del PIL e che ha già iniziato una grande transizione tecnologica, da completare assolutamente per evitare di perdere il passo su quello che sta avvenendo in tutta Europa. Ecco, proprio la transizione energetica e tecnologica e la decarbonizzazione dei settori produttivi sono i temi che specificatamente mancano, ma che sono centrali nelle agende europee. Ennesima prova che l’Italia non ha piani strategici a riguardo.
Oltre che la pianificazione, a mancare è stata anche una consultazione con le parti sociali trasparente. Se questo piano deve essere importante per il futuro dei nostri giovani non è pensabile che venga costruito senza una condivisione con le parti sociali. Auspichiamo che il confronto, quantomeno, sia aperto nella fase parlamentare e per tutto il periodo di applicazione del Piano. Abbiamo tempo per rimediare? Noi di MOTUS-E non perdiamo l’ottimismo della volontà, è l’ultima cosa cui aggrapparci, sul bordo del baratro.

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