Abbiamo letto con interesse l’articolo (l’ennesimo) apparso oggi su Capital, a firma di Luciano Santilli, che esprime ancora una volta dubbi sull’auto elettrica. Come Centro Studi di MOTUS-E proviamo a rispondere ad alcuni punti, di certo non nuovi, che vengono spesso portati avanti dai detrattori dell’elettrico, con dati oggettivi, aggiornati e autorevoli.
Alcuni evocano paradisi in cui le auto emetteranno molto meno smog di quello che siamo abituati a respirare, con tutte le conseguenze sanitarie che ne derivano.
Guido Fontanelli, nel suo libro “Autoshock”, giustamente citato da Luciano Santilli nel suo articolo pubblicato su Capital di luglio, riporta uno studio dell’Agenzia Europea per l’Ambiente in cui viene citato un agghiacciante dato sulle morti premature in Europa. Siamo nell’ordine delle 430.000 morti premature l’anno per danni provocati in gran parte all’esposizione eccessiva ai particolati, soprattutto i sottilissimi PM 2.5 e PM 10.
La prima falla nel ragionamento di Santilli è nell’assunto che il parco auto circolante, nel famoso paradiso prossimo, sarà inalterato. Ad oggi circolano sulle strade italiane circa 37 milioni di autovetture, 7 dei quali di omologazione inferiore a Euro 3. La riconversione totale dei veicoli attuali in veicoli elettrici è impensabile in qualunque modello di mobilità, più o meno futuristico. È sufficiente guardarsi intorno per rendersene conto. È cambiato il paradigma stesso della mobilità, per cui dalla proprietà si sta gradualmente passando all’uso, in molti casi anche condiviso. La differenza non è banale. Se fino a pochi anni fa possedere un’automobile era socialmente e materialmente importante, oggi l’intermodalità (ossia l’utilizzo di più mezzi di trasporto per spostarsi dal punto A al punto B) è ben più frequente tra gli utenti del trasporto pubblico e privato.
È a tal punto più frequente che diverse case automobilistiche stanno già offrendo ai clienti sempre maggiori opportunità di leasing del veicolo. E c’è di più. Alcuni operatori (come Whim, in Finlandia) offrono pacchetti che, dietro pagamento di una quota mensile, consentono all’utente di avere accesso illimitato a mezzi pubblici, car sharing, bike sharing e corse in taxi.
Batterie energeticamente costose
Per quanto riguarda il discorso sulle fabbriche di batterie, non vediamo perché non ci si debba porre lo stesso problema per tutte le fabbriche energivore. A differenza però di altri settori industriali ad alto consumo di energia, i processi produttivi di celle agli ioni di litio, in tutte le loro declinazioni, sono soggetti a costanti miglioramenti in termini di efficienza energetica, speranza fondata per tecnologie e processi così giovani.
Aggiungiamo inoltre che la parte più energivora non riguarda l’assemblaggio dei moduli e dei pacchi, quanto invece la creazione di celle, per le quali, purtroppo, non sono previste al momento installazioni industriali significative in Italia.
Smart Grid e accumulo
In questo caso stupisce che l’autore non si renda conto di fare un assist. Le auto elettriche si inseriscono perfettamente all’interno del quadro di sviluppo “Smart Grid”: non dobbiamo attendere le reti intelligenti, le auto elettriche sono esse stesse parte della Smart Grid.  Infatti essendo per loro natura delle batterie su ruote ferme per il 95% del tempo, è possibile massimizzarne il consumo nei momenti di maggiore utilità per la rete elettrica in termini di dispacciamento delle rinnovabili (caricare quando c’è maggior produzione) e di saturazione delle installazioni (modulare la potenza e i tempi delle ricariche a seconda delle aree e delle ore con maggior rischio di saturazione dei cavi e dei trasformatori). Queste funzionalità, chiamate per comodità “Smart charging”, sono raggiungibili attraverso tariffe orarie variabili, che spingano i clienti a risparmiare sul costo dell’energia, e/o facendo partecipare i mezzi ai mercati dei servizi di regolazione delle reti e al demand response come unità di consumo aggregate . Al contempo, la tecnologia “Vehicle 2 Grid” non solo permetterà quanto descritto, ma abiliterà i veicoli elettrici a uno scambio bidirezionale con la rete, aumentando la flessibilità degli stessi e scongiurando di fatto proprio i timori avanzati dall’articolo di Santilli.
Per quanto riguarda gli accumuli statici ci sarebbe tanto da dire, ci limitiamo a specificare che esistono e che il loro costo calerà parallelamente al crescere del mercato delle batterie al litio per trazione. Infine già molti progetti si stanno sviluppando (Nissan e Hyundai in primis) per utilizzare le batterie delle auto (che mantengono mediamente una carica residua dopo 10 anni di circa l’80% del SOC originale) alla fine del loro regime di utilizzo, per creare degli accumuli statici in grado di massimizzare la produzione da rinnovabili o di diminuire la potenza richiesta dalle infrastrutture di ricarica alla rete.
Quanto descritto è, in alcuni Paesi, già realtà (Stati Uniti, Danimarca, Regno Unito), non un futuro lontano.
Infrastruttura di ricarica
La ricarica è uno dei temi più spinosi quando si parla di diffusione dei veicoli elettrici. “Mancano le colonnine!”, è il mantra più sentito. Ad oggi, l’European Alternative Fuels Observatory calcola la presenza su suolo italiano di 3124 colonnine di ricarica normale e rapida, un aumento del 14% rispetto al 2017. La bella notizia è che, naturalmente, non è finita qui, poiché gli operatori si stanno già dando da fare per aumentare notevolmente questo dato. Nel novembre 2017, Enel ha lanciato il Piano nazionale per l’installazione delle infrastrutture di ricarica dei veicoli elettrici. Il programma prevede la creazione di una rete di circa 7 mila colonnine entro il 2020, per arrivare a 14mila nel 2022. L’obiettivo di questo piano, ha sottolineato l’AD di Enel Francesco Starace, è quello di permettere la crescita della mobilità elettrica in Italia, attraverso la creazione di una capillare ed efficiente infrastruttura di ricarica su tutto il territorio nazionale, da nord a sud e nelle isole.
Uno scopo sentito a tal punto da fondare, assieme ad altri stakeholders della filiera industriale, l’Associazione MOTUS-E, che ha come obiettivo di integrare il dialogo tra questi attori per favorire e accelerare la transizione verso modelli di mobilità sostenibile. Nata nel maggio 2018, MOTUS-E conta già una rispettabile compagine di trenta soci, dalle case automotive agli operatori della ricarica, dalle università alle associazioni di consumatori e ambientaliste.
Autonomia
La range anxiety, l’ansia per l’autonomia, è uno dei temi più caldi quando si parla di elettrico. Se da una parte come già detto le reti di ricarica pubbliche, sia fast sia quick, vanno potenziate, è ovvio che si dovrà anche favorire l’installazione nei condomìni, nelle aziende o nei parcheggi a pagamento dei sistemi di ricarica lenta (come le wallbox da 3-4kW). In tutto ciò però è importante ricordare che la percorrenza media annua in Italia è di 11.200 km (dati UNRAE al 2017) e che il 95% delle percorrenze giornaliere delle auto in Europa sono al di sotto dei 150 km; distanza ampiamente coperta dalla stragrande maggioranza dei veicoli elettrici a batteria sul mercato. La figura seguente rappresenta i valori di 4 anni fa, analisi CEI-CIVES; giacché si riscontra negli ultimi anni un utilizzo medio delle auto sempre decrescente, in realtà si rafforza maggiormente il messaggio.
 

È inoltre stato osservato da più parti un trend crescente dell’autonomia media delle auto a batteria al diminuire sensibilmente del costo di acquisto del mezzo (vedere grafico successivo, elaborazione Quartz su fonte IEA). Questo è dovuto alla impressionante corsa al miglioramento delle batterie agli ioni di litio da parte delle industrie asiatiche a americane (vedere grafico sottostante, fonte RSE).


 
Incentivi
È a dir poco miope sostenere che le auto elettriche viaggiano solo a “spinta pubblica”, cioè attraverso gli incentivi. Il meccanismo degli incentivi, introdotto per supportare la vendita e la diffusione dei veicoli elettrici a una fetta di pubblico sempre più estesa, serve a colmare in parte il divario di costo tra un’auto tradizionale e il suo corrispondente elettrico. Tuttavia, se il prezzo delle batterie continuerà a scendere mantenendo il trend attuale (che ha visto un crollo dei prezzi dell’80% dal 2010 a oggi) è ragionevole pensare che diminuirà – come peraltro già avviene – anche il costo dell’auto per il cliente finale e con esso l’incentivo che servirà ad acquistarla.
Occorre poi fare chiarezza sul tipo di incentivo che viene introdotto: da un lato, abbiamo gli incentivi diretti (che il più delle volte si sostanziano in sconti che vengono applicati al cliente al momento dell’acquisto, come lo sconto sull’IVA in Norvegia o il sussidio diretto della Gran Bretagna), dall’altro abbiamo gli incentivi indiretti, che agevolano il cliente ad esempio accedendo nel circuito urbano ad aree a traffico limitato, o a corsie preferenziali, o a parcheggi gratuiti.
Sarebbe scorretto considerare questo tipo di incentivi come meno rilevanti. Al contrario, rappresentano un marker dell’agevolazione che, in termini di interazione sociale, posseggono i guidatori di auto elettriche, e un costo evitato non insignificante. In modo particolare perché indicano che il metodo “coercitivo” citato da Santilli di mettere dei divieti di circolazione per le auto inquinanti sono tutt’altro che impopolari anche in Occidente.
La California proibirà la circolazione dei veicoli non elettrici entro il 2040. Sulla stessa scia anche Francia, Germania e Regno Unito. In più, nell’ottobre 2017 25 città, tra cui Roma, si sono impegnate a ridurre drasticamente le emissioni di CO2 in linea con gli Accordi di Parigi. Questo spiega come nei Piani Urbani della Mobilità Sostenibile (PUMS) sia presente come possibilità la chiusura dei centri urbani alle auto non a zero emissioni.
Il caso di Londra è in questo senso particolarmente significativo. La capitale britannica ha introdotto nel 2003 un’area nel centro della città, in cui si accede previo pagamento di una quota giornaliera di 11,50£ (circa 13€). Questa “tassa”, nota come congestion charge, è un importante incentivo per le auto a zero emissioni e contestualmente un disincentivo per le auto che emettono CO2.
Il caso cinese, anch’esso citato nell’articolo di Santilli, è altrettanto rappresentativo. L’autore omette di ricordare che esiste una correlazione non trascurabile tra l’incoraggiamento a livello nazionale e locale delle auto elettriche non solo per fini di attenzione ambientale, ma anche di poca convenienza per il cliente nell’acquistare un’auto a diesel o benzina. Le targhe delle auto non elettriche, infatti, non sono disponibili con lo stesso meccanismo di immatricolazione che siamo abituati a conoscere, ma sono messe all’asta e acquistate. Lo scorso dicembre, nella città di Shenzhen, nel Guandong, si è raggiunto il picco di costo medio di una targa: 95,103 yuan ($14,525).
In Francia, poi, dove vige il sistema del bonus-malus (chi inquina paga di più in proporzione alle emissioni del suo veicolo), l’incentivo per uno è disincentivo per l’altro.
La tesi secondo cui gli incentivi sarebbero l’unico motore di diffusione dei veicoli elettrici è smentita anche dai numeri. In questo grafico (elaborazione Quartz su fonte IEA) si vede come l’aumento della spesa da parte del consumatore per l’acquisto di un’auto elettrica aumenti più che proporzionalmente rispetto al contributo del governo. È dunque scorretto dire che il dato crollerebbe di fronte a una improvvisa cancellazione dell’incentivo statale.

Accise sui carburanti
Anche lo studio Fuelling Europe’s Future calcola un impatto sui barili di carburante comparabile con quello dell’autore (circa 4,1 miliardi di barili in meno nel 2030 rispetto al 2015). E pensare che si riteneva un obiettivo positivo per i cittadini europei! È in generale pretestuoso fare questo tipo di ragionamenti, poiché se tale è l’impostazione avremmo dovuto bloccare con fermezza l’introduzione dello Start n’ Stop nelle auto a combustione di nuova generazione: un risparmio del 10% medio di carburante significa meno accise e meno entrate per lo Stato!
Le accise sui carburanti pesano circa l’1,5% della raccolta statale; se è vero che vanno pensati modi per coprire l’eventuale mancato gettito, è anche vero che ad oggi esistono incentivi fiscali sia sul diesel sia sul metano e gpl (verificare il  report del Ministero dell’Ambiente “Catalogo dei sussidi ambientalmente favorevoli e dei sussidi ambientalmente dannosi”). Senza contare che, a livello di bilancia commerciale, per il Paese è in generale un vantaggio ridurre le importazioni di fonti fossili, e quindi il numero di barili di petrolio. È infine possibile compensare il residuo mancato vantaggio economico per lo Stato, al di là del vantaggio sulla salute che potrebbe anche essere monetizzato in termini di minor spesa sanitaria, attraverso misure che favoriscano la mobilità sostenibile, quali le già citate “congestion charge” e le “road tariff” per i veicoli inquinanti (non solo auto).
Ambiente – Emissioni
L’autore sembra almeno aver compreso il concetto: bisogna combattere l’inquinamento locale nelle città, che non è costituito dalle emissioni di CO2 (gas climalteranti leggeri che non contribuiscono ai livelli di emissione nelle città) ma da particolato e NOx. Per tali inquinanti, molto pericolosi per la salute, non c’è partita: la auto elettriche non li generano (escludendo la quota di PM relativi agli pneumatici e al risollevamento del manto stradale, che ha tuttavia un contenuto di carbonio elementare significativamente minore rispetto ai prodotti della combustione).
Detto questo per quanto riguarda le miniere di cobalto, è giusto preoccuparsi delle condizioni disumane in cui i lavoratori in Congo sono trattati, schiavi non solo nelle loro condizioni di lavoro ma di conflitti interni che sembrano non sedarsi mai. È per questo che è giusto promuovere iniziative come Ethical Cobalt o come quelle che supportino la creazione di miniere Conflict free, che stanno nascendo e che ci auguriamo crescano velocemente. C’è anche speranza che le continue ricerche sugli accumuli (vedere Istituto Italiano di Tecnologia o il Fraunhofer Institute) portino a una graduale sostituzione dei catodi di cobalto con altri materiali (lo stesso Elon Musk sta eliminando il cobalto dalle batterie delle auto Tesla). Per quanto riguarda il litio, che proviene per larga parte da deserti salati, è giusto fare attenzione al suo sfruttamento visto che spesso e volentieri parliamo di ecosistemi meravigliosi e preziosissimi. Sarebbe quantomai opportuno che la stessa attenzione fosse garantita dalle industrie estrattive di petrolio, sebbene la storia recente non sembra poterlo confermare.
Passiamo ora a quanto l’autore sostiene nell’analisi sulla CO2. Sarebbe interessante capire perché la scelta di Santilli è ricaduta proprio su uno studio di un istituto di ricerca no profit tedesco di Heidelberg (per altro commissionato dalla ADAC, la ACI tedesca) e non invece sui numerosissimi studi degli enti di ricerca e università Italiani e internazionali pubblici riconosciuti. Riteniamo corretto che sia applicato un approccio “LCA” (Life Cycle Assessment) sulle emissioni di CO2 dell’intero ciclo vita dei veicoli; aggiungiamo però che un approccio rigoroso per questo tipo di analisi è influenzato da vari fattori, quali la chimica delle batterie, il luogo di produzione, la vita utile delle batterie e quelle dei veicoli. Del resto fonti (più?) autorevoli, come gli studi JRC-EUCAR-CONCAWE sulle analisi WTW (Well-to-Wheel dal pozzo alla ruota), consideravano già nel 2013 che un’auto elettrica alimentata al 100% da centrali a carbone di ultima generazione, aveva emissioni di CO2 (circa 120 g/km) comparabili con quelle delle auto endotermiche di oggi sul ciclo NEDC- New European Driving Circle (che, peraltro, verrà adesso sostituito dal “WLTP” – Worldwide harmonized Light vehicles Test Procedure, e vedremo quali saranno i consumi reali di auto endotermiche); di seguito un grafico ben diverso da quello dell’autore, da fonte RSE (Ricerca sul Sistema Energetico) che compara le emissioni di CO2 WTW di varie motorizzazioni con dati al 2017.


 
Infine è opportuno ricordare che, dati 2017 del GME alla mano, l’Italia ha soddisfatto il 49% della sua domanda attraverso fonti rinnovabili, quindi per i detrattori si può dire che è un paese potenzialmente più appetibile per questa tecnologia. È inoltre stato calcolato da più parti che la domanda aggiuntiva dei veicoli elettrici in termini di energia si potrebbe soddisfare abbastanza facilmente. L’RSE calcola ad esempio che qualora si sostituissero 33,7 milioni di auto private in Italia con auto elettriche, uno scenario a dir poco fantasioso, sarebbero necessari 64 TWh aggiuntivi di energia prodotta, pari al solo 19% della produzione attuale. In termini di potenza del parco di generazione significherebbe installare circa 16,5 GW aggiuntivi (fra 8,5 GW di cicli combinati a gas, 5 GW di fotovoltaico e 3 GW di eolico). Su un orizzonte di 10 anni si potrebbe ritenere facilmente raggiungibile (basti pensare che fra il 2009 e il 2013 sono stati installati 17 GW di solo Fotovoltaico). Aggiungiamo inoltre che già nella sola SEN 2017 si prevede un aumento di produzione da fonti rinnovabili fino al 60% della domanda al 2030, riducendo l’impatto WTW dei veicoli a batteria a soli 60 g/km secondo lo stesso approccio mostrato nel grafico.
Il futuro, presunto appannaggio dei sognatori, è consegnato in mano alle stime sulle future vendite di auto elettriche. Più o meno attendibili che siano, rimane la fetta di auto che ipoteticamente rimarrà da convertire in una forma più sostenibile. Come mostra il grafico seguente, però, il pubblico di riferimento è già interessato al passaggio di modello di mobilità. Per quanto ancora vorremo restare indietro?


Indagine Censis, 2017 Interesse auto elettriche o ibride Plug-in

 

Redazione MOTUS-E

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