Cosa andrebbe fatto per la trasformazione e lo sviluppo della filiera automotive italiana? Di cosa ha bisogno il nostro Paese per cogliere le opportunità che la mobilità elettrica e tutta l’elettrificazione dei trasporti ci sta offrendo? Motus-E ha già avviato studi e mappature in questo ambito e indichiamo quattro aree chiave su cui è fondamentale intervenire al più presto per affrontare le diverse sfide che saranno sempre più urgenti col passare degli anni, sia perché gli annunci del principale produttore di auto in Italia e principale cliente della componentistica italiana sono chiaramente diretti all’elettrificazione di tutti i suoi modelli prodotti in Europa entro il 2028, sia perché la gran parte degli altri clienti produttori di veicoli all’estero (dove il sistema italiano esposta il 50% dei componenti) si stanno muovendo nella stessa direzione. Paesi come Germania, Francia, Spagna e Polonia, hanno già pianificato la trasformazione del loro ecosistema industriale, l’Italia non ancora. È quindi necessario, e non più rimandabile, stilare il prima possibile un piano di politica industriale per l’evoluzione della filiera automotive italiana e del suo allargamento ad altri settori, così come un piano di formazione di nuove competenze dei lavoratori del settore.

Fonte ANFIA

Di seguito le indicazioni di Motus-E frutto di quattro anni di lavoro insieme ai suoi associati, imprese che già investono sulla mobilità elettrica in Italia:

1) Conoscere il contesto

  • È necessaria una mappatura continua della trasformazione della filiera automotive con l’obiettivo di comprendere: 
    1. quali siano le imprese davvero a rischio, quanto stanno investendo e come sostenerle, 
    2. quali lavoratori sono a rischio ed i loro profili per valutare l’eventuale attivazione di percorsi di reskill, 
    3. quali sono le competenze interne alle imprese che possono essere sfruttate per produrre nuovi prodotti. 

A tal fine Motus-E e il CAMI (Center for Automotive and Mobility Innovation), una rete di professori e ricercatori esperti delle dinamiche dell’industria automotive, lanceranno un Osservatorio permanente che sarà in grado di garantire questo monitoraggio e di lanciare survey verso le imprese mappate nel database.

  • Serve pubblicare in maniera chiara e semplice quali siano gli attuali strumenti di supporto (contratti di sviluppo, Accordi di innovazione, Fondo nuove competenze, ecc., come vi si accede e soprattutto misurarne le prestazioni rendendo consultabili gli investimenti suddivisi per settore e per tipologia (R&D di prodotto, rinnovo o potenziamento delle linee produttive, automazione e digitalizzazione delle linee, formazione, ecc.) e le prestazioni delle imprese che hanno avuto accesso al supporto in termini di fatturato e occupati nel corso degli anni.
  • Infine, è necessario conoscere i singoli gruppi di ricerca nelle università e nei centri di ricerca, i laboratori e gli spin off universitari che lavorano sulla mobilità elettrica e le batterie, in modo tale che le imprese della filiera allargata, magari piccole e con maggiori difficoltà a gestire un progetto di Ricerca e Sviluppo internamente, si possano affidare a queste realtà, con contratti di ricerca e dottorati industriali facilitati.
    A tale scopo come Motus-E stiamo cercando di effettuare una mappatura, già avviata in passato con l’ENEA.

2) Agire a livello Europeo

Con la leva dell’impatto del Regolamento CO2 sul sistema italiano è fondamentale discutere a livello europeo:

  • L’allocazione preferenziale all’Italia, come Paese fortemente impattato dalla trasformazione dell’automotive, del Just Transition Fund.
  • L’estensione temporale del temporary framework per il settore automotive per utilizzare strumenti potenziati in deroga alla norma sugli aiuti di Stato in ambito europeo.
  • L’eliminazione dei vincoli territoriali degli aiuti di Stato europei che si concentrano preferenzialmente nelle zone depresse (regioni di convergenze) mentre serve che gli strumenti di supporto si utilizzino anche in regioni attualmente industrializzate ma che devono trasformarsi.
  • Creare una politica di re-shoring delle filiere delocalizzate fuori dall’Europa.

3) Strumenti di supporto

  • Semplificare l’accesso ai Contratti di sviluppo. Sono richiesti troppi adempimenti ancor prima di sapere se il progetto è ricevibile dal MiSE. Vanno inoltre aumentati la copertura a fondo perduto, in particolare per i progetti di R&D e, al fine di fare crescere dimensionalmente le imprese, vanno premiati con una percentuale maggiore di copertura di investimento i progetti di collaborazione fra le imprese (ad esempio progetti che sottostanno a Contratti di Rete), visto che l’Italia ha difficoltà proprio a fare crescere dimensionalmente le imprese, tipicamente patronali, con le ovvie difficoltà di risalire la catena del valore ed essere competitivi per i volumi automotive.
  • Revisione degli Accordi di innovazione. L’ultimo bando ha messo a disposizione 500 milioni senza un’analisi preventiva dei progetti e senza discernimento fra settori industriali; il tutto è stato gestito attraverso un click day che ha visto esaurirsi le risorse nel giro di un’ora. Invece vanno giudicati i progetti, allocati fondi separati per settori e lasciate aperte delle finestre temporali ampie strutturando gli Accordi con uno sportello aperto permanentemente, come i contratti di sviluppo.
  • Creare un tavolo permanente ad hoc che metta insieme i principali stakeholder (Ministeri dello Sviluppo economico, della Transizione ecologica, delle infrastrutture per la mobilità sostenibile, del Lavoro, dell’Università e della ricerca e dell’Istruzione, università, municipalità, industrie, sindacati) come ad esempio ha fatto il Baden Württemberg dal 2017 (Stoccarda, 470.000 impiegati nel settore automotive):
    1. Mettere quindi a disposizione delle imprese un ufficio di esperti che aiuti le imprese a capire come sono fatti i nuovi veicoli, i processi industriali per produrli (ad esempio l’Italia è un’eccellenza nella produzione di macchinari per le industrie) e le infrastrutture che li servono, al fine di fare comprendere agli imprenditori dove investire e posizionarsi (anche attraverso la produzione di report e materiali informativi, webinar, ecc.). 
    2. Pubblicare un elenco di potenziali consulenti accreditati (che devono aver lavorato negli ultimi due anni in progetti o imprese di mobilità elettrica) cui le imprese possono attingere con un voucher che copre i costi di una consulenza di dieci giorni (il consulente analizza i prodotti, le linee produttive e le competenze interne per capire come le imprese possono posizionarsi, alla fine è tenuto a produrre un report generico utile al MiSE per l’analisi della evoluzione delle imprese).
  • Gli aiuti che hanno la forma del Credito d’Imposta per molte piccole imprese non sono adeguati perché non sono fiscalmente capienti, meglio evitare queste forme di aiuto per le PMI.

4) Puntare su formazione e nuove competenze

  • Il Fondo nuove Competenze, previsto dal PNRR in alternativa agli ammortizzatori sociali (invece di andare in cassa integrazione si apre un percorso di formazione di nuove competenze per i lavoratori pagato dallo Stato) si può spendere su competenze troppo generiche e quindi non è davvero utile al reskill dei lavoratori. È necessario aggiornare il Database ufficiale delle competenze del Ministero del lavoro (Atlante Lavoro) concentrando gli investimenti. Per questo è necessario realizzare con urgenza un progetto ad hoc con bando del Ministero al fine di aggiornare il Database delle competenze, recuperando il tempo perduto: qualunque percorso di formazione ha bisogno di tempo per essere realizzato e abbiamo bisogno di risorse formate già oggi. 
  • Istituire dei dottorati industriali con trattamento di favore (ad esempio contributivi) se le imprese che li finanziano assumono alla fine del dottorato e se il dottorato è volto a progetti di riconversione delle imprese (batterie, elettronica di potenza, nuovi metodi produttivi, ecc.)
  • ITS e istituti tecnici superiori diventano fondamentali per la formazione dei nuovi lavoratori (istituire quindi dei percorsi formativi volti alla mobilità elettrica) ma possono anche essere enti potenzialmente utili alla formazione dei lavoratori attuali che devono riconvertirsi (cosa attualmente non prevista).
  • Alcune competenze vanno importate: forte copertura contributiva e defiscalizzazione per esperti (italiani e non) che tornano dall’estero e sono assunti per competenze specifiche (le stesse che dovremmo mappare come da punto precedente).

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