Nonostante le poche novità e la mancanza di impegni concreti durante l’ultimo vertice ONU sui cambiamenti climatici, il Segretario Generale delle Nazioni Unite ha tenuto un discorso conclusivo ottimista: 66 Paesi si sono impegnati a raggiungere il target di zero emissioni entro il 2050 e grandi multinazionali hanno dichiarato di voler fare altrettanto, mantenendo come riferimento l’Accordo di Parigi del 2015. E non sono mancate iniziative sulla mobilità green.
L’emergenza climatica è una gara che stiamo perdendo, ma possiamo vincerla“, ha dichiarato il Segretario Generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres a margine del Climate Action Summit 2019 tenutosi a New York lo scorso 23 settembre.
Sono 66 i Paesi che hanno aderito all’obiettivo di azzerare le emissioni inquinanti entro il 2050, come richiesto dagli scienziati al fine di contenere il riscaldamento della pianeta. I nuovi firmatari si aggiungono a 10 regioni, 102 città e 93 imprese che si erano già impegnate a raggiungere l’obiettivo “zero emissioni” entro la metà del secolo.
Una grave crisi climatica
Il vertice convocato dall’ONU lo scorso 23 settembre si inserisce in un contesto di crescente preoccupazione per la grave crisi climatica che stiamo attraversando. Le più recenti ricerche scientifiche e gli stessi rapporti dell’ONU sottolineano che la temperatura media della terra sta aumentando a velocità allarmanti. E le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti: eventi meteorologici che aumentano di intensità, ondate di calore anomale, scioglimenti dei ghiacci e innalzamento dei mari. L’andamento della temperatura globale indica un aumento di 1,1°C rispetto alla metà del secolo scorso. Se non si invertirà questo andamento, dicono le ricerche, entro la fine del secolo la temperatura media globale sarà di 3 °C superiore rispetto al secolo scorso.
Apparentemente piccolo, in realtà è un aumento di temperatura che avrà conseguenze disastrose sull’intero pianeta e, di rimando, sulle economie mondiali. L’IPCC, il Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici, ha pubblicato lo scorso anno un report dal titolo “Global Warming of 1.5°C”, che analizza gli impatti di un surriscaldamento fino a +1.5°C. Uno dei punti fondamentali e prioritari del report è la necessità di decarbonizzare completamente le nostre economie, in considerazione del fatto che le emissioni mondiali prodotte dall’uomo hanno raggiunto il loro massimo storico nel 2010, risultando pari a 49 miliardi di tonnellate di CO2. Si parla di un incremento pari a 1 miliardo di tonnellate di CO2 equivalente all’anno rilasciate in atmosfera.
La necessità di ridurre drasticamente il consumo di energia da parte dei settori come industria, trasporti e immobili è urgente e necessaria, in volumi che l’IPCC stima pari a una riduzione del 45% delle emissioni globali di anidride carbonica entro il 2030.
La comunità scientifica concorda sul fatto che le attività umane siano tra le cause principali del riscaldamento globale. La produzione di anidride carbonica ha fatto registrare un aumento dell’effetto serra oltre quello naturale, impedendo al pianeta di disperdere parte del calore accumulato dalla radiazione solare. Senza una sostanziale riduzione dell’anidride carbonica, dicono gli scienziati, sarà impossibile ridurre l’aumento della temperatura media globale e prevenire gli irrimediabili effetti dannosi.
Gli impegni degli stati al Climate Action Summit 2019
Ad eccezione di alcuni impegni sottoscritti da pochi Stati, la maggior parte delle grandi potenze del pianeta appare ancora timida rispetto alle azioni concrete da mettere in atto per contrastare l’emergenza climatica. Gli Stati Uniti hanno abbandonato gli impegni presi nel 2015 con l’Accordo di Parigi e, di conseguenza, non raggiungeranno molti degli obiettivi riguardanti la riduzione delle emissioni di CO2. Dal canto suo la Cina, visto il disimpegno degli USA, ha preso impegni molto generici e lo stesso ha fatto la Russia che, avendo grandi interessi commerciali nella vendita di gas e combustibili fossili, non ha offerto informazioni dettagliate circa le sue politiche di riduzione delle emissioni. L’India ha dichiarato di voler aumentare la percentuale di energia prodotta da fonti rinnovabili entro il 2022, ma non ha preso impegni concreti e i suoi piani per la transizione verso fonti sostenibili sono ancora poco chiari, nonostante l’annuncio nel marzo 2018 di un piano governativo di creare un framework normativo per la mobilità elettrica che prevede il 30% di EV al 2030.
Non vanno meglio le cose in Europa: nel corso del summit i Paesi dell’Unione Europea non hanno preso molti impegni per ridurre più velocemente le emissioni. Fa eccezione la Germania, che ha annunciato un piano da 54 miliardi di euro per ridurre le emissioni di anidride carbonica del 55% in dieci anni, superiore al target europeo del 40% di riduzione delle emissioni. La Germania ha anche annunciato l’intenzione di chiudere le sue centrali elettriche alimentate a carbone entro il 2038.
Gli impegni dell’Italia
In un tweet la Farnesina ha comunicato che “l’Italia è pienamente impegnata nell’attuazione dell’Accordo di Parigi: attraverso il riorientamento verso le energie rinnovabili, abbiamo ridotto le emissioni cumulative per 260 milioni CO2, al di sopra del nostro obiettivo“. Dal canto suo il Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ha dichiarato: “L’Italia vuole avere una posizione di leadership in Europa e nel mondo verso una svolta verde“. Ed ha aggiunto: “Nella manovra stiamo lavorando per orientare il sistema produttivo verso un green new deal, attraverso meccanismi incentivanti“.
La mobilità green
Uno dei temi del summit ONU sul cambiamento climatico ha riguardato gli stili di vita, di lavoro e di mobilità “green”. Tra le iniziative discusse nel corso del vertice, quella dal titolo Action Towards Climate Friendly Transport pone l’accento sulle azioni di pianificazione nello sviluppo delle città: la transizione verso un trasporto pubblico più sostenibile e l’abbandono dei combustibili fossili entro il 2030, migliorando gli attuali sistemi di trasporto attraverso le tecnologie a “zero emissioni”.

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