I ragazzi dovrebbero stare a scuola a studiare. Dovrebbero farlo con la prospettiva di impiegare questi anni di studio in un futuro migliore. Ma quale futuro stiamo dando loro? Promettiamo sostenibilità, ma le nostre politiche industriali sono ancora in ritardo rispetto all’applicazione di metodi di produzione in linea con le necessità ambientali.
Ai livelli di consumo attuali, ci servirebbe in media oltre un pianeta e mezzo per sostenere il nostro stile di vita. Naturalmente, ci sono delle differenze notevoli da regione a regione. Se tutto il mondo consumasse quanto la sola America del Nord, servirebbero ben cinque pianeti.

La prova di quanto allarmante sia la situazione è qualcosa che passa troppo spesso in sordina nei notiziari: l’”Earth Overshoot Day” è anticipato ogni anno di più. Si tratta di un parametro che misura il deficit ecologico della Terra, ossia di quanto la domanda annuale di risorse eccede la quantità che la Terra è in grado di rigenerare ogni anno. Ad oggi, l’umanità utilizza l’equivalente di 1.7 pianeti per sostenere i nostri consumi e assorbire gli scarti. In altre parole, la Terra ha bisogno di un anno e mezzo per rigenerare le risorse che utilizziamo in un anno.
L’eccesso di consumo – e l’avvicinarsi dell’Overshoot Day – avviene per via di più concause: pesca eccessiva, eccessiva deforestazione e l’emissione di più CO2 nell’atmosfera di quanta le foreste riescano a sequestrarne sono tra le principali.

A fine 2018, l’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change) ha pubblicato un report che analizza le conseguenze di un riscaldamento globale di 1.5°C entro il 2030. Le emissioni antropogeniche, ossia quelle causate direttamente dall’intervento umano, hanno portato a un innalzamento delle temperature globali di 1°C. Un ulteriore 0.5°C potrebbe avere effetti disastrosi sull’economia e la vivibilità di intere regioni: scioglimento dei ghiacciai (anche perenni), estinzione di alcune specie animali, aumento delle aree colpite da siccità e temperature estreme, aumento delle precipitazioni a livelli emergenziali. Sono solo alcune delle possibili conseguenze stimate dal panel come altamente probabili.
C’è una ragazza svedese, di nome Greta Thunberg (nominata donna dell’anno in Svezia), che lo scorso dicembre, in occasione della 24ma Conferenza sul Clima, ha parlato davanti ai leader mondiali additando la loro sostanziale inattività verso efficaci politiche di sostenibilità. Rimane poco tempo per agire o sarà troppo tardi. La protesta di Greta è iniziata lo scorso agosto con uno sciopero per il clima, ogni venerdì davanti al Parlamento svedese, per chiedere azioni concrete. Oggi, il movimento avviato da Greta ha risvegliato la sensibilità di migliaia di studenti in tutto il mondo.
Venerdì 15 marzo, studenti di 72 Paesi aderiranno alla protesta e scenderanno nelle piazze per chiedere politiche di sostenibilità ambientale efficaci e rapide ai loro governi. Benché il movimento sia già in parte diffuso, Reuters prevede che quello di venerdì sarà il più grande sciopero per il clima del mondo.
I detrattori della protesta, inutilmente e pericolosamente conservatori, hanno bollato l’iniziativa di Greta come uno sbaglio, perché sarebbe stato meglio per lei rimanere a scuola a studiare per il suo futuro piuttosto che protestare ogni venerdì. Ma di quale futuro parliamo? Di quello in cui riusciremo a respirare aria pulita, o di quello in cui siamo costretti a chiuderci in casa per l’aria irrespirabile (come già avviene in diversi Paesi nel mondo, tra cui l’India, che ospita 22 delle 30 città più inquinate al mondo e dove nel solo 2015 sono morte 2.5 milioni di persone per malattie legate all’inquinamento).

L’inquinamento ci sta già uccidendo. Secondo Transport&Environment, in Europa ogni anno vengono richiesti 100 milioni di giorni di malattia e oltre 400,000 persone muoiono prematuramente per cause attribuibili all’inquinamento atmosferico, il cui costo sanitario è stimato a 766 miliardi di euro ogni anno nell’Unione Europea. Senza contare gli impatti economici della perdita di terreno agricolo fertile, dei danni all’ecosistema e della perdita di biodiversità.
Il momento di invertire rotta è adesso, e non abbiamo altro tempo da perdere. Non è etico lasciare alle giovani generazioni il peso di una crisi che rischia di diventare irrecuperabile in appena un decennio. Non lo vogliono nemmeno loro, per questo marceranno – anzi, marceremo – venerdì 15 marzo per il clima, cioè, semplicemente, per il futuro di tutti.
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Bianca Cherubini, MOTUS-E 

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